In risposta ad una domanda che mi viene posta con una certa frequenza, mi permetto di proporre una breve riflessione.
A seguito di un’espansione significativa di fenomeni corruttivi presenti nelle P.A., il legislatore ha incorporato dette fattispecie delittuose tra i più gravi reati: associazioni di stampo mafioso, terrorismo, eversione dell’ordinamento, riduzione in schiavitù e prostituzione minorile.
Sono assolutamente convinto che il fenomeno della corruzione sia da contrastare duramente.
Tuttavia mi pare di tutta evidenza la sproporzionalità della norma, tanto più se non si tiene conto delle diverse forme in cui si può caratterizzare tale reato e soprattutto se in assenza di una condizione “do ut des”.
Il pensiero comune vede il reato di corruzione caratterizzarsi attraverso il passaggio di “mazzette”, di tangenti, ma non sempre è così. Talvolta elementi di illegalità possono convivere, mascherati, nelle azioni che si compiono abitualmente. Questi aspetti possono apparire quasi banali, vista la ricorrenza che si potrebbe accertare nella gestione di molte amministrazioni. In quest’ottica si consumano in un normale modus operandi comportamenti interpretati in maniera criminosa, in contrasto con le previsioni del Codice Penale.
Ad esempio, anche una segnalazione per un’assunzione a tempo determinato, per pochi mesi, senza alcuna pressione e in totale assenza di scambio di favori personali, è considerata quale merce di scambio per l’assegnazione di una gara milionaria e, comunque, un’utilità generata a favore terzi.
La Corte di Cassazione in diverse sentenze considera le circostanze che hanno caratterizzato la gravità della fattispecie nella sua globalità, quali ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato.  Rileva anche il profilo psicologico e possono di conseguenza rilevare anche i motivi sottesi alla condotta dell’agente. Sostanzialmente non può aversi riguardo solo al fatto nella sua oggettività, avulso dalla persona del suo autore e quindi sganciato dai motivi di ispirazione soggettiva. Il fatto invero, onde valutarne la portata, deve necessariamente essere considerato insieme alle ragioni che lo hanno determinato ed alla personalità del suo autore perché queste si riverberano sul dato oggettivo e finiscono per delinearne gli esatti contorni.
La corruzione si caratterizza in diverse modalità e, purtroppo, pare un tratto ineliminabile e naturale del funzionamento dell’apparato amministrativo e del vivere sociale. Credo perché semplicemente non è percepita come tale. La gravità, dunque, sta proprio nella percezione sociale di tale fenomeno delittuoso che deve essere modificata.
Infatti, i medesimi portatori di richieste di “favori”, e spesso anche a “fin di bene”, magari inseriti in contesti sociali di rilievo, o addirittura figure che hanno beneficiato e beneficiano di condizioni favorevoli non certo meritocratiche, di fronte al fenomeno “corruzione” si rifugiano in un ipocrita atteggiamento di falso perbenismo. Come se la cosa non li riguardasse. E, probabilmente, ne sono finanche convinti.
Anche una segnalazione proposta per la valutazione di figure ai fini di una possibile assunzione, ancorché in assenza di alcun vincolo impositivo, è interpretata come il favorire utilità a terzi, anche se in assenza di condizione do ut des. E ciò si caratterizza come reato di corruzione.
La segnalazione per un’assunzione, anche se effettuata con garbo e senza alcuna imposizione, può essere interpretata dall’interlocutore come una condizione che potrebbe risultare sconveniente non accogliere. Come avviene quando un boss mafioso implicitamente trasferisce il peso del suo potere in una richiesta. Eppure, senza sfidare la fantasia, quante di queste circostanze avvengono ogni giorno coinvolgendo ogni livello sociale?
Ovviamente la ratio è mutuabile in tutti gli aspetti dell’agire sociale.
Non esistono “vittime del sistema”. Ciò che mi indigna è il tentativo di classificare quali “vittime del sistema” coloro che tentano di rifuggire responsabilità individuali chiare, ineludibili.
In vicende di corruzione, comunque si caratterizzino, ognuno ha delle responsabilità di cui deve prendere atto. L’agire di ognuno è influenzato anche da un tornaconto personale che, nelle pieghe delle norme, può accusare forme di illegalità. Considero questo aspetto rilevante perché l’agire deve essere idoneo non solo per timore della sanzione ma per rispetto. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Nessuno è costretto ad agire nelle forme e nei termini che possono essere oggetto di attenzione giudiziaria.
La pubblica amministrazione deve rappresentare un esempio, per il bene della collettività, per il rispetto della legge. La legalità per il bene comune deve essere un principio basilare costante nella pratica amministrativa ed in quella politica.
Il vero problema, in un contesto sociale complesso e diversificato, è l’assenza di un modello improntato ad una cultura della legalità e della moralità. Sussiste troppa compiacenza verso la debolezza dell’agire al punto che talvolta non si sa più ciò che è bene né ciò che è male, ciò che va fatto e ciò che non va fatto, ciò che è lecito o illecito, azzardandone una propria interpretazione a giustificazione del proprio agire. La morale non è un semplice sistema di consuetudini, ma un sistema di comandamenti.
Le reali “vittime del sistema” sono coloro che non vedono riconosciute le proprie capacità o il cittadino che vede sperperato il denaro pubblico.
Il funzionario pubblico indagato dovrebbe allontanarsi dall’amministrazione, per ovvie ragioni di opportunità e di buon gusto. Trovo in questo senso sconcertante constatare il persistere di figure indagate nei medesimi ruoli funzionali, come ad indicare che le eventuali responsabilità soggettive dei reati oggetto di procedimento penale risiedano solo in capo ad altri.
Ma, soprattutto, trovo inaccettabile che l’amministrazione non ponga il funzionario in una condizione tale da non consentirgli la reiterazione del presunto reato per cui è indagato, sia corruzione sia turbativa d’asta o altro di analoga gravità, e magari continui ad assegnarli procedimenti di elevata responsabilità o lo consideri addirittura ai fini di una crescita di ruolo. Pare incredibile ma accade anche questo.
In queste circostanze, un agire prudente da parte dell’amministrazione mediante l’adozione di azioni cautelative, non solo rappresenta una scontata regola di opportunità, ma un’attenzione di rispetto doverosa ed imprescindibile verso il cittadino e la società.
Potrebbe addirittura risultare lecito pensare che la mancata adozione di provvedimenti da parte dell’amministrazione non sia una disattenzione ma sia dettata dall’intervento di poteri esterni alla stessa, anche questo un fenomeno piuttosto diffuso e ben tollerato su cui ci sarebbe molto da dire.
Occorre comprendere a fondo il fenomeno della corruzione affinché lo si possa efficacemente contrastare. Talvolta l’approccio dei media e degli investigatori, non consente al cittadino di approfondire, di capire le reali ragioni che hanno caratterizzato il presunto reato, di comprendere quanto talvolta sia sottile il confine tra ciò che è ritenuto un agire normale ed uno illecito e, nel caso, quale ne sia l’effettiva gravità. Nessuno si chiede se l’evento è legato a modus operandi cristallizzati da anni, sarebbe scomodo, spesso metterebbe in luce un intero sistema inquinato. Meglio riporre la polvere sotto il tappeto. Ma questa non è giustizia è solo giustizialismo.
L’avvocato Renato Borzone, responsabile delle camere penali sull’osservazione giudiziaria, ha definito una “moda degenerativa” “fornire un’informazione spettacolare a sostegno dell’impianto accusatorio” e ancora “c’è una propensione colpevolista, i titoli hanno questo approccio, non sono neutri o innocentisti. Si dà per scontata la risoluzione del caso”. Sostiene ancora Borzone “si origina un asse doloso fra investigatori e informazione: più e debole e opinabile l’impianto di accusa, tanto più serve lanciare la grancassa mentre la persona sottoposta ad indagine parte in svantaggio, come un boxeur con le mani legate”.
Superato il clamore dell’evento e trovato un capro espiatorio tutto torna come prima.
E’ inquietante ma spesso è così.
Credo che in molte occasioni il problema sia davvero culturale. Occorre impostare un modello improntato ad una cultura della legalità e della moralità.
In termini pratici potrebbe anche essere di aiuto una rivisitazione delle attuali norme laddove il contesto risulti particolarmente scivoloso.  Ad esempio, per ciò che riguarda gli appalti è noto che il cosiddetto “avvalimento” è finalizzato a promuovere la competizione tra le imprese, consentendo l’accesso alle gare anche ad aziende di nuova formazione o, comunque, non ancora in grado di esprimere tutte le potenzialità richieste per la partecipazione a determinate procedure di affidamento di contratti pubblici. Affinché tale condizione non costituisca motivo di scadimento della qualità con ricadute sui costi e, conseguentemente, sulla qualità del lavoro e dei trattamenti ai lavoratori, occorrerebbe adottare un  orientamento restrittivo che preveda che tutti i requisiti, ad esempio quello della certificazione di qualità (volta ad assicurare che l’impresa svolga il servizio secondo un livello minimo di prestazioni accertato da un organismo qualificato) debbano risultare tra quelli di ordine soggettivo e quindi posseduto, in via di principio, da chi esegue effettivamente la prestazione.
Per comprendere gli effetti di tali fattispecie è sufficiente verificare in qualche amministrazione l’assegnazione storica degli appalti. Probabilmente si potrà notare una significativa ricorrenza nelle assegnazioni, in forma diretta o attraverso l’avvalimento, alle medesime imprese.
Delicata e pericolosa è anche la gara al massimo ribasso, dove l’elemento rilevante è il costo e non la qualità e troppo diffusa nelle pubbliche amministrazioni. La ragione purtroppo è semplice. Non è frequente trovare, nell’ambito di amministrazioni appaltanti, competenze specifiche dell’argomento in grado di esprimere indici di valutazione appropriati e oggettivamente misurabili, competenze idonee a conferire un peso credibile alla valutazione della commissione. Un professionista competente che si impegna a fondo deve cercare di rendere quanto più “granulare” possibile la valutazione dell’offerta e la conseguente attribuzione di punteggio. Ciò significa che colui incaricato di elaborare il capitolato deve essere in possesso di competenze e professionalità di alto livello. Il che produce tre effetti. Il primo corrisponde all’inadeguatezza della spesa ed alla dispersione di denaro pubblico, in assenza di responsabilità di colui che predispone il bando di gara. Il secondo, nel caso di servizi, la ricaduta degli abbattimenti dei costi sulla sicurezza e sulle spese del personale. Il terzo, com’è facile intuire, l’estrema semplicità di favorire comportamenti corruttivi.
Un provvedimento di carattere organizzativo potrebbe consistere nella mobilità dei dirigenti presso diverse sedi: a loro tutela. Già adottato da diverse amministrazioni dello Stato dovrebbe essere esteso a tutti i contesti dove si esercitano poteri di gestione del bene pubblico. I rapporti che si generano sul territorio in conseguenza di permanenze pluriennali, rappresentano un’evoluzione naturale. Altrettanto naturale è la confidenzialità che matura tra soggetti che, a diverso titolo, rappresentano e gestiscono l’amministrazione e il mondo imprenditoriale e finanziario. Gli effetti di queste condizioni possono generare, anche in assenza di alcun intendimento criminoso, azioni che, nei fatti, si traducono in comportamenti inopportuni o addirittura illeciti. Ad esempio, so di un’amministrazione in cui il medesimo responsabile ha affidato servizi in outsourcing al solito appaltatore, direttamente o mediante gara, per oltre venticinque anni, senza soluzione di continuità. Un periodo significativo per entrambi.